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domenica 16 ottobre 2011

L’ultima porta del cielo


Il mondo è pienodi persone a pezzi. Stecche, ingessature, medicine miracolose non curano icuori infranti, le menti ferite, gli spiriti lacerati.
In quel periodo, Micky Bellsong aveva scelto difarsi curare dal sole e la California meridionale di fine agosto era unfarmacista a cui quella medicina non scarseggiava.
Il martedì pomeriggio, indossando un bikini e conla pelle protetta dall'olio solare, Micky si accomodò in una sedia a sdraionello spiazzo posteriore della roulotte di sua zia Geneva. Il telo di nylondella sdraio era di una nauseante tonalità di verde, sprofondava al centro e lastruttura di alluminio cigolava come se fosse molto più vecchia di Micky, cheaveva solo ventotto anni ma che a volte si sentiva già decrepita.

Dean Koontz, Incipit de "L'ultima porta del cielo"




giovedì 27 maggio 2010

Unione Sovietica - Ucraina - Villaggio di Červoj

25 gennaio 1933
Dato che Marija aveva deciso di morire, il suo gatto avrebbe dovuto arrangiarsi da solo. Lo aveva già accudito molto più di quanto fosse sensato e ragionevole per un animale domestico. Gli abitanti del paese avevano da tempo catturato e mangiato topi e ratti. Gli animali domestici erano spariti poco dopo. Tutti tranne uno, quel gatto, il compagno che lei aveva tenuto nascosto. Perché non lo aveva ucciso? Aveva bisogno di qualcuno per cui vivere, qualcuno da proteggere e amare; qualcuno per cui sopravvivere. Si era ripromessa di continuare a dargli da mangiare fino al giorno in cui non avesse più avuto nulla da mangiare lei stessa. Quel giorno era arrivato. Aveva già tagliato a striscioline gli stivali di pelle per bollirli con semi di bietola e ortiche. Aveva già dissotterrato lombrichi, succhiato la corteccia degli alberi. Quella mattina, in un febbrile delirio, aveva rosicchiato la gamba dello sgabello di cucina, finché non si era ritrovata le gengive piene di schegge di legno. Nel vederla, il gatto era scappato a nascondersi sotto il letto, e si era rifiutato di venire fuori anche quando lei si era inginocchiata chiamandolo e cercando di convincerlo con le buone. Quello era stato il momento in cui Marija aveva deciso di morire, non avendo più niente da mangiare né niente da amare.

Tom Rob Smith "Bambino 44"


domenica 16 maggio 2010

Moll Flanders

Il mio vero nome è fin troppo noto, nelle carte e nelle cronache della prigione di Newgate e al tribunale dell'Old Bailey, e vi sono ancora pendenti faccende di gravità tale, riguardo alla mia specifica condotta, da far escludere che io possa firmare quest'opera o nominare la mia famiglia. Magari dopo la mia morte se ne saprà di più. Per il momento, però, non è il caso, nemmeno se viene un'amnistia generale, nemmeno se quell'amnistia riguarda chiunque e comprende tutti i delitti possibili.
Siccome i peggiori dei miei amici, che ormai non hanno più modo di farmi danno (perché sono usciti dal mondo via scaletta e corda, come tante volte stava per toccare a me), mi conoscevano col nome di Moll Flanders, che io mi presenti con questo nome a voi può bastare, e potete consentirmelo a patto che io abbia il coraggio di confessarmi tale e quale fui, e quale sono adesso.



Daniel Defoe "Moll Flanders"

giovedì 22 aprile 2010

Bartholomew

Bartholomew Lampion era rimasto cieco all'età di tre anni, quando i chirurghi avevano dovuto enucleargli gli occhi per salvarlo da un cancro che andava diffondendosi rapidamente. Nonostante fosse privo di globi oculari, però, Barty riacquistò la vista all'età di tredici anni.


Incipit de "Il cattivo Fratello" Dean Koontz